venerdì 3 ottobre 2014

L'infinito

L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle ,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
.spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo , ove per poco
il cor non si spaura . E come  il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno ,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Parafrasi
Questo colle solitario mi è sempre stato caro,
e anche questa siepe, che impedisce al mio sguardo
una gran fetta dell’orizzonte più lontano
Ma mentre siedo e fisso lo sguardo sulla siepe,
io immagino gli sterminati spazi al di là di quella,
i silenzi che vanno al di là dell’umana comprensione
e la pace profondissima, tanto che per poco
il mio cuore non trema di fronte al nulla. Quando sento
le fronde delle piante stormire al vento, così paragono
la voce del vento con quel silenzio infinito:
e istintivamente mi giunge in mente il pensiero dell’eternità,
le ere storiche già trascorse e dimenticate e quella attuale
e ancor viva, col suo suono. Così il mio ragionamento
si annega in quest’immensità spazio-temporale,
e per me è un naufragare dolcissimo.

Analisi e commento:

L’infinito è uno dei più noti idilli leopardiani, fu composto nel 1819 ed è una testimonianza di quel dissidio tra finito ed infinito, tra realtà e ideale, che caratterizza l’uomo romantico.
La poesia descrive il poeta solo sul monte Tabor a Recanati. Una siepe impedisce a Leopardi la vista di buona parte dell’orizzonte e questo ostacolo suscita in lui una riflessione su ciò che trascende il reale e fa spaziare nell’immensità. La siepe rappresenta dunque una barriera tra il mondo esterno e i pensieri del poeta. Essa è il simbolo di tutto ciò che è limitante e limitato e quindi stimola l’immaginazione e l’istintivo bisogno, proprio di ogni uomo, di infinito. Stando seduto a osservare, egli immagina spazi interminabili oltre la siepe, silenzi che superano ogni possibilità di comprensione da parte dell’uomo e una quiete assoluta dove il cuore prova quasi smarrimento (“ove per poco il cor non si spaura”).
L’improvviso stormire delle foglie lo riporta alla realtà ma come la siepe gli aveva suggerito l’idea dell’infinito spaziale così il rumore del vento gli suggerisce l’idea dell’eternità, cioè dell’infinito temporale.
Le sue riflessioni perdono ogni definizione logica in questo infinito che si estende senza confini nello spazio e neltempo. Egli si abbandona dolcemente in questa nuova dimensione annullando la propria identità



.Poesia letta da Vittorio Gassman

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